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Recensione di: Buon giorno!

25/12/2010 | Recensioni |
Recensione di: Buon giorno!

Remake di Sono nato, ma... del 1932, a firma dello stesso Ozu, Buon Giorno! (Ohayô) è il secondo film a colori del maestro Giapponese. Disanima profonda della quotidianità, quasi una operazione a cuore aperto su di essa tutta giocata sulla dialettica tra ordinario e straordinario, tra quotidiano ed evento Buon Giorno! si impone allo spettatore per la freschezza del suo cinema che incarna perfettamente questa dialettica: a incominciare dalla dinamicità/staticità dell'inquadratura ozuiana, uno dei marchi stilistici più riconoscibili del maestro; a dispetto della camera fissa utilizzata durante tutto il film, la dinamicità è tutta interna al quadro stesso: Ozu usa gli ambienti geometrici della quotidianità giapponese (i quartieri, le case, le stanze - fatte di dedali di mobili, porte scorrevoli mezze aperte, suppellettili di avrio genere, collegamenti con altre stanze - le strade, i fiumi e suoi alti argini) per ritagliare lo spazio interno dell'inquadratura, dando vita così a ambienti estremamente prospettici entro cui i personaggi si muovono (o sono costretti a muoversi) continuamente e senza posa in un geometrico e ininterrotto scambio di posto lungo le labirintiche profondità artificialmente create dall'inquadratura ozuiana.
Questa fitta dinamica-statica sempre in tensione nell'inquadratura di Ozu è il bisturi di tutto il suo cinema, di cui Buon Giorno! è esemplare applicazione. Ponendosi all'incrocio tra vecchia e nuova quotidianità (siamo alla fine degli anni '50), tra tradizione e innovazione (incarnata dall'arrivo in massa al ritrmo di un'onda lenta dell'eletrodomestico -dalla lavatrice alla televisione) Ozu scandaglia il fondo della questione mantenendo continuamente in tensione gli elementi protagonisti della vicenda, intrecciandole indissolubilmente fino a scivolore ben oltre la puntualità storica delle vicende narrate, che finiscono per diventare pretesto giocoso, sarcastico, perfino malinconico per raccontare l'intimo dell'uomo che pure vive nell'essenza una similare tensione tra particolare e universale. Così l'acquisto di una lavatrice dà adito ad un pettegolezzo tra le donne del quartiere a sua volta reiterato dalla "disputa" tra genitori e figli per comprare un televisore, disputa che sfocerà in uno sciopero della voce da parte dei due bambini, il cui silenzio finirà per mettere a nudo tanto l'infido vicinato dedito al gossip, quanto l'incapacità del loro maestro di inglese di poter dichiare il uso amore alla loro zia, limitandosi alla sola discussione quotidinana e banale sul tempo.
La tensione dialettica tra il saluto (il Buon Giorno!, simbolo della chiacchera quotidiana degli adulti, che pure, si dirà nel film, è il sale che evita la noia e che proprio il silenzio forzato dei due bambini finirà in qualche modo per scardinare in un vortice quasi paradossale dove l'un cosa alimenta l'altra) e l'elettrodomestico (Il televisore, il simbolo di una quotidinaità a venire che ancora però perdura nello stra-ordinario del suo essere evento, di cui, ancora una volta i due bambini sono il detonatore paradossale) si attorciglia su se stessa dando vita ad una reazione a catena circolare, simile ad un cane che si mangia la coda, o di un macchinario a moto perpetuo dove l'energia prodotta da un macchinario alimenta il macchinario stesso) e che finirà per non cambiare (quasi) niente, riportando tutto all'inizio: lo straordinario è già tornato ordinario, l'evento è già parte della stessa quotidianità e così via all'infinito, fino a che tutto si richiude su l'identità degli elementi, che Ozu aveva aperto e dilatato come si dilata un elastico o una molla che poi tornano alla loro forma originaria.
Ribaltando gli estremi: il quotidiano è già in qualche modo evento, l'ordinario è già in qualche modo straordinario e l'una è sempre in qualche modo l'altra nel profondo, dove in un fluido alternarsi è impossibile distinguere le due cose. Rimangono, sul fondo, le (stra)ordinarie avventure dei due bambini, che nelle loro avventure quotidiane - un altro ossimoro- rapiscono lo spettatore in un travolgente susseguirsi di strepitose scenette che attraversano tutto lo spettro delle emozioni, dalla comicità alla malinconia, gamma che solo la strordinaria quotidianità riesce a coprire nella vita di tutti i giorni.

Lorenzo Conte

 


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